Diario 19 maggio 2022
Quarta Tappa
150 km, 3:00 ore in moto
Stento a svegliarmi. Sono già le 7 ma non ho voglia di alzarmi. Dormo un altro po’, poi apro la finestra e mi viene voglia di uscire. Sistemo tutto fra i tre gatti che mi fanno le fusa fra le gambe. Carico la moto e passo da Antonelli a salutare e ringraziare Marco, prendiamo un caffè e proseguo per andare a trovare Vincenzo alla cantina Scacciadiavoli.
La strada sale da Montefalco in direzione Foligno con paesaggi spettacolari fra le vigne e gli uliveti. Ad un certo punto s’impervia lungo una salita dove trovo tante cantine. Poi, una volta in cima, trovo una chiesetta che annuncia la cantina Scacciadiavoli.
Scacciadiavoli
Sembra d’essere tornati indietro nel tempo, poi i muletti mi riportano alla realtà. Una cantina grande e piena di gente di ogni genere e mansione. Una villa ottocentesca con un grande cortile dove trovo Vincenzo (un ragazzo incontrato la sera prima in un bar dove cercavo una presa per ricaricare telefono e pc) che lavorava sugli spumanti, è giornata d’imbottigliamento. Scende dal muletto e mi saluta, mi porta da Maria Cristina che mi accompagnerà nella visita in cantina. Mi racconta della storia della cantina, nata dal Principe Ugo Boncompagni Ludovisi nel 1884, che l’ha resa un polo enologico e di ingegneria non indifferente. ‹‹La cantina oggi è ancora identica ad allora, con le stesse travi d’acciaio che portano il suo nome in bassorilievo. È stata poi rilevata da Amilcare Pambuffetti, un ex operaio tornato a 71 anni in patria per acquisire il luogo dove ha lavorato da quando aveva poco più di 13 anni›› spiega Maria Cristina. Proseguiamo la visita salendo prima verso le sale dell’enorme struttura e poi scendendo sempre più verso le antiche cantine e bottaie: anfore in terracotta e ceramica, botti di ogni dimensione ma sempre rigorosamente di rovere francese, sempre dello stesso marchio, dal 1884. Lo sguardo si perde fra le centinaia di barriques che riposano fino ad un enorme cancello: un serbatoio da 200000 ettolitri. Una stanza con una minuscola porticina da cui dovrebbe solo entrare ed uscire vino.
Risaliamo in superficie e mi fa provare i loro due spumanti: il brut da Sagrantino con aggiunta di Chardonnay, leggero ed elegante, con una nota sottile che tende al terroso svela la possenza del vitigno che lo compone. Immediatamente riconoscibile nel rosé (100% Sagrantino) la nota terrosa si trasforma in frutti di bosco e rose profumatissime, interpretazioni uniche di questo vitigno che, nella sua versione classica, è tanto elegante quanto prepotente. Infatti, prima di andare Maria Cristina ci tiene a versare nel calice un Sagrantino 2013, un vino ancora sorprendentemente giovane ma potente, con una rassegna infinita di profumi che prendono ogni sfumatura di rosa, una nota terrosa ed animale che sembra voler scacciare via il male dal mio corpo. Inizio a capire la filosofia di Scacciadiavoli quando mi rendo conto che non posso trattenermi. Maria Cristina vorrebbe una moto e mi chiede come sia viaggiarci sopra.
‹‹È la cosa più bella al mondo, se ne vuoi una, devi assolutamente prenderla! Molla la macchina e scegli la tua compagna›› la incoraggio io. Saluto lei e Vincenzo, è il momento di ripartire.
La strada – Parte 1.
Erano solo 150 km di distanza ma, per uscire dalla cantina, finisco prima in una casa, esco e proseguo lungo una stradina panoramica che dalla cima sembrava arrivare sulla strada. Inizia un’avventura di oltre un’ora su strade sterrate o distrutte, uno slalom per riscendere dalla montagna e ripide discese su strade bianche fra paesaggi fantastici. Esco dallo sterrato e trovo subito il cartello di confine fra Umbria e Lazio, inizia una brevissima tratta in strada statale, lascio l’Umbria con le lacrime che si gonfiano negli occhi per poi immergermi nelle provinciali ed arrivo fino a Viterbo.
Una volta entrato in città, mi trovo ancora una volta in una situazione paradossale: il navigatore mi porta alla posizione di Remo (La Regina del Quartuccio). Mi aspetta in centro. Di nuovo una cantina nel centro storico?!
Viterbo, Remo, il Cosmonauta
Sbaglio strada, faccio il giro. Remo alza la mano, fuori da una porticina, di fianco alla sua BMW R80 HPN bianca. Mi sono già innamorato di lui. ‹‹lascia il casco dove vuoi, ti va di mangiare qualcosa?››, ovviamente gli rispondo di sì. Mi porta in un locale dietro l’angolo, in un circolo Arci: il “Cosmonauta”. Ci accoglie Checco, un ometto bassino ma con un carattere da gigante. Rustico e gentile: la bellezza fatta persona. Remo caccia una bottiglia da dietro la sua schiena possente: l’EstRemo, il suo vino bianco da Malvasia di Candia, il colore di un giallo intenso e l’aspetto velato ingannano i profumi erbacei, di pesca-noce croccante, incredibilmente beverino! Ci sediamo fuori, nel giardino ed arrivano dei piatti gonfi e spettacolari: Fusilloni con asparagi, curcuma e gorgonzola e dopo poco le polpette alla pizzaiola. Mi riporta alla cucina di mia nonna… quando cucinava bene!
La Regina del Quartuccio
Ritorniamo dietro l’angolo, dalla porticina della cantina di Remo si apre un mondo che non ti aspetteresti: una stanza in cui si stagliano un tino in vetroresina, un piccolo torchio e dei serbatoi di cemento. È una cantina del 1500, anche qui a Viterbo, come a San Severo, l’antico centro era luogo di vinificazione. ‹‹Ho sempre fatto il vino in campagna con i miei ma non lo bevevo perché stavo sempre male il giorno dopo, quando ho assaggiato un vino naturale sono stato benissimo, poi dei miei amici, che avevano da poco iniziato a farlo mi spingono ad iniziare!›› mi spiega Remo. Proseguendo nell’altra stanza altri serbatoi in vetroresina e vecchie anfore vicino alla piccola linea di imbottigliamento. Remo stappa un “S.P.”, un rosato intenso e profumato, sull’etichetta l’immagine di Sandro Pertini. La mia curiosità cresce a dismisura quando osservo un muro coperto da un telo. ‹‹Lì devo ancora sistemare, ho trovato un posto per l’affinamento!››, cerca di dissuadermi dall’avventurarmi lì giù ma la curiosità aumenta a dismisura, così lasciamo i calici ed accendiamo le torce. Scendendo lungo la scala ripida ed ancora piena di cocci troviamo delle grotte etrusche che si diramano in ogni direzione e poi una stanza che sembra crollata, è il “butto” (l’antica discarica domestica) di un ex convento di suore. Risaliamo e Remo, instancabile, mi vuole far conoscere la cantina dei suoi amici, quelli che gli hanno messo in testa il vino. Mi spiega il nome della cantina, dedicato a sua madre, a cui il padre diceva sempre: ‹‹Diventerai la Regina del Quartuccio!›› la strada dove vive Remo e nel mentre mi allunga una bottiglia di “Pielle”.
La strada – Parte 2.
Remo è una persona meravigliosa, di cuore ed instancabile (ha un bar, lavora in vigna ed in cantina, nel tempo libero si dedica alla passione per le moto e lo sterrato): mi porta in giro per Viterbo mostrandomi le meraviglie del quartiere medievale, mi racconta un miliardo di storie e non saprei davvero da quale cominciare. La macchina di Santa Rosa, Civita di Bagnoreggio, le antiche rivalità fra Viterbo e Pianoscarano, e la più bella: la nascita del Conclave.
Viterbo era la città del Papa, nel…. il nuovo Papa non si usciva fuori ormai da due anni: i cardinali riuniti fra i lussi del palazzo e le bontà preparate dai viterbesi per loro, se la prendevano comoda, forse perdevano tempo. Così i cittadini chiudono a chiave il palazzo e scoperchiano il tetto per vedere se, fra fame e freddo, i grassi clericali si sarebbero finalmente accordati sul nome del nuovo Papa.
Prendiamo le moto ed usciamo dal centro, attraversiamo le vie cave etrusche, muraglioni scavati nel tufo che nascondono la strada sottostante e dove si trova la nuova vigna di Remo, recuperata dall’abbandono e dove dormirò stanotte.
Proseguiamo poi fra le terme naturali, acque sulfuree che risalgono spontaneamente in superficie, e ci dirigiamo verso Montefiascone, alle spalle del lago di Bolsena. Entriamo nella cantina il Vinco.
Il Vinco
Quando arriviamo ci aspetta Nico, uno dei tre soci della cantina. Ci aspetta nella zona di vinificazione ma ci tiene a farci vedere le vigne, in parte recuperate dall’abbandono e in parte reimpiantate. Mi parla della storia, iniziata nel 2015, un esperimento per recuperare vigne abbandonate. Nel 2017 piantano il loro primo filare di procanico: ‹‹un annata terribile e sfigatissima già quella. Quest’anno sono appena entrati in produzione ma il caldo è già preoccupante››, i discorsi fra Nico e Remo sono tutti concentrati sulla difficoltà dell’estate.
Poi aggiunge un particolare ‹‹siamo certificati biologici ma non lo mettiamo nell’etichetta, potremmo avere la doc ma non ce ne frega niente!›› Già mi piace tutto questo!
Entriamo in cantina, dove hanno dovuto lavorare da zero per creare la flora batterica ed i lieviti necessari alla produzione di vini naturali. Anche qui ritrovo serbatoi in vetroresina, in cemento e delle botti. In un angolo 2 serbatoi d’acciaio dismessi: ‹‹abbiamo fatto degli esperimenti e l’acciaio ha perso su tutti, l’alta conduzione termica ha rovinato spesso i vini, così come ha fatto il legno nei primi esperimenti. Alla fine, abbiamo deciso di sostituire l’acciaio alla vetroresina e di usare solo botti vecchie›› mi spiega Nico.
Mi fa assaggiare un bianco quasi pronto per l’imbottigliamento da un serbatoio in vetroresina: mi sorprende subito. Un colore giallo paglierino, cristallino e profumatissimo. Trebbiano Procanico e Malvasia di Candia, in bocca scende fluido e leggero, sembra un vino filtrato ma anche lì, in pochi anni, hanno sviluppato i loro trucchi: la feccia precipita e loro svinano lasciandola sul fondo. Zero solfiti e zero filtrazione per un vino fantastico. Proseguiamo verso le botti ed assaggiamo altri due bianchi, decisamente più carichi ed ancora non pronti all’imbottigliamento ma ugualmente apprezzabili, il legno quasi non si sente.
Ci sediamo ad un tavolone e Nico apre un rosato: Mistione. Le uve dell’Est Est Est vinificate in rosato. Il colore è intenso ma il vino è leggero e beverino, in bocca riporta ad una ciliegia croccante con una sapidità ed una morbidezza che continuano a far scendere il vino come acqua.
Arriva Daniele con il trattore che sperimenta nuovi metodi per lavorare meglio. Siede con noi e ripartono le discussioni sull’annata ‹‹già si parla del nuovo 2003, speriamo bene. Qui servirebbe un’irrigazione di soccorso›› ribadisce Daniele. Fare vini naturali vuol dire rispettare i ritmi della natura e talvolta esserne sopraffatti, soprattutto quando il cambiamento climatico si fa sentire sulle teste degli agricoltori che non riescono più a gestire la falsa esuberanza di ogni coltivazione.
Mentre beviamo, ridiamo e scherziamo, superando le preoccupazioni, inizia a farsi tardi. Rimontiamo in sella, Remo ha un locale da portare avanti: il Beer Shock!
La sera, il Beer Shock, la notte
Arriviamo ancora una volta nel centro di Viterbo, alle spalle di una grande chiesa c’è un piccolo locale con dentro un mondo. Appena arrivati tutti salutano Remo festosi, intravedo Mirko, il fratello di Giada, mia compagna di squadra nelle Stryx (una viterbese trapiantata a Lecce), corre a salutare me e Jessica. Non ci vediamo da un po’ di mesi ma le cose da raccontarci sono sempre tante!
Uno spumante, poi un bianco. Mi devo fermare. Il sole inizia a tramontare e vado in vigna per montare la tenda. Velocissimo sistemo tutto mentre gli ultimi rigoli di luce rossa graffiano il cielo. Mi alzo e mi gira la testa, torno lentamente verso il locale per mangiare.
Incontro un sacco di persone e sembro un disco rotto fra l’eccitazione di Remo e Mirko che la trasferiscono ai clienti ignari del locale.
I discorsi si perdono e la notte è calata, così come il mio sonno. Riempio la borraccia e torno alla tenda. Crollo immediatamente, non appena i cani nel campo di fianco fanno una pausa dai loro rumorosi discorsi.
Guido Oliva è un vecchio ragazzo, laureato in Scienze Politiche, con due master alle spalle (Euro-Progettazione e Finanza Agevolata),
un passato nel Roller Derby ed un futuro da Sommelier. Alla ricerca di una svolta da dare alla sua vita, ha deciso di tracciarla su una mappa.
Solitalia è un viaggio su due ruote, in solitaria, alla ricerca delle cantine e dei vitigni più interessanti d’Italia.
Un road-trip alla scoperta dei sapori della Penisola, tra borghi incantati, curve infinite e vigneti nascosti.
Venti giorni, venti località italiane, una moto, una tenda e uno zaino. Un diario di viaggio condiviso attraverso il quale ripercorrere le tappe e i luoghi per scoprire i volti e le storie della lunga tradizione enogastronomica d’Italia.
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