Solitalia

Diario 16 maggio 2022

sul Vulture

Prima tappa

Partenza ore 10:00, circa 4 ore in moto, 300 km

Era solo ieri che mia madre scendeva in garage e guardava quella moto, carica come un cammello, era solo ieri che mia nonna piangeva come se non dovessi più tornare ed in cuor mio sapevo che la mia vita dopo questo viaggio sarebbe cambiata. La notte non mi ha lasciato pace: mille pensieri, domande e paure che giravano nella testa. Non bastava l’incoraggiamento e la spinta che amici più o meno stretti mi davano, dovevo partire io, da solo, puntando su un’ospitalità che non mi sarei mai aspettato, ed invece…

La tensione mi fa tornare da quelle che negli ultimi anni sono state delle famiglie: il Jolly Roger, dove ho lavorato per 3 anni, e Leone De Castris, dove ho toccato con mano le uve ed i vini studiati fra i banchi del corso per sommelier AIS. Si è fatto tardi e mi tocca partire.

La strada

La strada ti dice bene dove stai andando: dalle strade dritte, fra i terreni spesso incolti del Salento andavano trasformandosi man mano che i campi diventavano vigneti ed i vigneti poi diventavano raffinerie, porti ed industrie. Superata Taranto ancora strade dritte ed infinite, poi, d’un tratto, curve colline, ponti e montagne: non ero più a casa e non potevo più tornare indietro.

Il caldo brucia più del motore oggi, così proseguo fermandomi ogni mezz’ora a bere da una borraccia sempre più calda. Il navigatore segna poco meno di mezz’ora all’arrivo sul Vulture ed inizio a vedere nuvole spesse e nere, sorrido. Il galleggiante segna una tacca di benzina nel serbatoio e mi fermo nella prima stazione di servizio disponibile.
«Pioverà?», chiedo ad una signora seduta a guardare il cielo davanti al bar.
«Sì, porta temporale oggi».
Fantastico, proseguirò, vediamo cosa accadrà.

Proseguo fra lavori e rallentamenti fino a che la strada non si libera davanti a me, facendomi sentire minuscolo ai piedi di quelle montagne verdi ed imponenti. Arrivo all’uscita per Barile ed il mio telefono si blocca per 10 minuti. Continuo a sensazione e poco dopo appare l’indicazione della cantina: Elena Fucci. Sembrava una normale stradina ma, dopo pochi metri, diventa una ripida discesa e quasi mi sembra di non riuscire a fermare la moto prima del cancello. Goffamente scendo dalla moto e suono al campanello mentre mi assicuro che non mi cada addosso: si apre il cancello, ero a casa di Elena e suo marito Andrea.

La cantina, Elena e Andrea

Mi accolgono come se ci conoscessimo da sempre ed anche io ho la stessa impressione, subito mi informano che ci sono buone probabilità di pioggia e di tanto in tanto si percepisce un rumore sordo, un temporale in lontananza. Per tranquillità, sia mia che loro, oggi non dormirò in tenda ma in una fantastica stanza con tutti i comfort sotto casa di Elena e Andrea. Una doccia era dovuta, avevo iniziato a sudare prima ancora di partire e sarei rimasto con loro fino a sera.
Finito di sistemare il tutto, entro in cantina e mi rendo definitivamente conto che non era solo un luogo di produzione, era casa loro e quel lavoro l’avevano scelto!
Elena parte dalla sua infanzia per spiegarmi quello che vedevo attorno a me: nonno e bisnonno agricoltori, che curavano i loro 6 ettari di vigna per l’autoproduzione ed i suoi genitori, entrambi professori iniziano a pensare di dover vendere i terreni. Elena lascia il corso universitario appena intrapreso e decide che la sua vita sarebbe stata fra quella casa e quelle vigne: si iscrive a viticoltura ed enologia a Pisa e mette in piedi la cantina. Già solo da questo incipit, capisco subito di che pasta è fatta!
Mi mostra dall’alto le vigne tutt’attorno, i terrazzamenti dall’altro lato della strada, poi entriamo in cantina.

Un posto magico, a metà fra le tradizioni delle origini e la modernità, una modernità di sostanza, tutt’altro che sfacciata. L’intera struttura è costruita seguendo i principi della bioarchitettura: i materiali sono tutti riciclati ed ogni peculiarità dell’ambiente circostante viene utilizzata all’interno della cantina. È qui che si comprende la meraviglia del territorio del Vulture. Le passate eruzioni, ed i periodi di dormienza del vulcano, costituiscono non solo il terroir per le vigne ma l’unicità della cantina stessa: costruita a contatto con la roccia che ne regola temperatura ed umidità. Roccia che si riprende i suoi spazi quando ci si avvicina alla bottaia: per un attimo sembra di entrare in una grotta e guardandola, toccandola ed ascoltando la spiegazione di Elena, diventa viva e racconta tutto di sé.

Un piccolo sguardo all’archivio ed alla cantina personale e torniamo fra le bottiglie in affinamento per poi salire nella bellissima sala degustazione. Da qui si vedono bene tutti i vigneti di Elena Fucci ed assaggio le diverse sfumature di Titolo, il suo vino.

La degustazione

Una filosofia priva di fronzoli che punta sulla schietta bontà del suo prodotto. Elena sa bene che l’Aglianico è un vitigno importante, elegante e vellutato, soprattutto per come lo fa lei: «moderno, non modernista»

Elena ha studiato e lavorato duramente per raggiungere risultati che la soddisfacessero e non può ignorare l’evoluzione per false tradizioni che, soprattutto al Sud, è importante prendere con le pinze: tradizioni spesso nate da cattive pratiche, derivate dal ruolo del Mezzogiorno nella storica discrepanza con il nord. Infatti, anche se nel 2000, quando Elena ha iniziato, pochi riconoscevano l’importanza dell’Aglianico. Lei ha puntato solo e solamente su quest’uva e sui suoi terreni, radicati da 70 anni fra gli strati di lava, lapilli ed argilla del Vulture.

Appena entrati nella sala degustazioni, era già tutto pronto. Nulla viene lasciato al caso. In tavola spicca subito il Titolio (olio delicato e persistente con un guizzo di piacevole piccantezza finale, prodotto dai loro ulivi, adiacenti ai vigneti) assieme a salamini locali dolci e piccanti, alla luganega (soppressata lucana) e a mozzarelle. Per finire, un (formaggio) ubriaco alle vinacce di aglianico ed un Canestrato, il pecorino di Moliterno. Non faccio in tempo a distrarmi (come al solito!), che arrivano frittini alle cime di rapa e salsiccia, pane ed ossa di morto, i taralli locali che usano il vino bianco al posto dell’olio nell’impasto, duri come ossa! Sul lato la schiera dei suoi vini.

I vini

Titolo: Barile (PZ), Contrada Solagna del Titolo, da qui prendono nome e vita i vini di Elena Fucci, dal rosato fino all’Aglianico del Vulture superiore mantengono il fil rouge di freschezza e sapidità spiccate, un’estrazione meticolosa (tanto da pigiare le uve solo dopo la macerazione) che restituisce vini eleganti, vellutati e che si bevono fin troppo facilmente!

Titolo Pink edition: appena versato nel bicchiere ti sorprende per colore e luminosità, un rosa acceso e brillante, «quasi fucsia!» – esclama Elena. Dopo averlo guardato sorpreso, al naso restituisce subito fiori di magnolia, frutta fresca a polpa gialla e agrumi. Fantastico con salamino piccante e mozzarella.

Titolo Aglianico del Vulture 2019: non appena tocca il calice, lo spennella di un porpora intenso che nasconde un doppio riflesso granato e violaceo, subito richiama l’attenzione del naso, intenso e complesso, un adolescente ben posato ma con un carattere ancora spigoloso. Vaniglia, tabacco e confettura di ciliegia assieme che in bocca confermano il nuovo equilibrio raggiunto: si stende come un velo sul palato e lo asciuga mentre freschezza e sapidità ti chiedono di berne ancora!

Titolo Aglianico del Vulture by Amphora: l’esperimento ben riuscito. Le anfore di terracotta toscana provenienti dall’Impurenta covano il vino in ogni sua fase, donandogli un colore più cupo e granato, sostituendo il frutto con sensazioni più terrose, favorendo la morbidezza alla freschezza del fratello d’annata.

Titolo Aglianico del Vulture Superiore 2018: un maggior invecchiamento ed un’annata più fredda rivoluzionano quanto detto per i due fratelli d’annata. Un vino caldo e vellutato in bocca che però non appesantisce mai e si fa piacevolmente bere. Riporta alla mente i datteri e le castagne con note decise di cuoio, tabacco, vaniglia con la speziatura finale fa veni voglia di sorseggiarlo davanti ad un camino… che purtroppo non ho.

SCEG 2019: “Sceg” in lucano vuol dire melograno ed è il simbolo di rinascita di una vecchia vigna di 70 che stava per essere estirpata. Da qui nasce un vino più semplice ed immediato, il terreno su cui cresce è più argilloso che lavico, perde infatti la tipica sapidità dei Titolo ma restituisce morbidezza, un vino conviviale, che si fa bere volentieri.

L’accoglienza, la simpatia e la genuinità di Elena aggravano anche il tasso alcolemico e si è fatto già tardi! Ritorno nella mia tenda in muratura ed inizio a scrivere, quando dopo un po’Andrea ed Elena risalgono a casa.

Questa notte non ha piovuto, oggi è un nuovo giorno e non ho idea di cosa accadrà.

Guido.

Guido Oliva è un vecchio ragazzo, laureato in Scienze Politiche, con due master alle spalle (Euro-Progettazione e Finanza Agevolata),
un passato nel Roller Derby ed un futuro da Sommelier. Alla ricerca di una svolta da dare alla sua vita, ha deciso di tracciarla su una mappa.

Solitalia è un viaggio su due ruote, in solitaria, alla ricerca delle cantine e dei vitigni più interessanti d’Italia.
Un road-trip alla scoperta dei sapori della Penisola, tra borghi incantati, curve infinite e vigneti nascosti.
Venti giorni, venti località italiane, una moto, una tenda e uno zaino. Un diario di viaggio condiviso attraverso il quale ripercorrere le tappe e i luoghi per scoprire i volti e le storie della lunga tradizione enogastronomica d’Italia.