Incipit

Carte di Guardia

di Jacopo Torre

Delle espressioni più affascinanti e misteriose che mi sia capitato d’incontrare tra le pagine di un libro, certamente quella pronunciata dal Woland de Il Maestro e Margherita rappresenta, più d’ogni altra, la misura di questo nostro modesto, primo tentativo.
«I manoscritti non bruciano» afferma il diavolo di Bulgakov in una scena che si presta difficilmente ad un’interpretazione univoca. Dei tanti, mi piace pensare che il senso di queste parole – semplici, nella loro profondità – sia da intendersi come una dichiarazione di poetica universale. È la fiducia nel ruolo inalienabile e puramente umano del manoscritto, dell’opera letteraria, nel rappresentare una via di fuga, uno strumento di (ri)affermazione della propria presenza, della propria libertà: ciò che creiamo, per volontà o bisogno d’espressione, lascia una traccia indelebile nel mondo che, per quanto sottile, non può essere rimossa. L’immagine dell’autore mosso dalle circostanze alla distruzione del proprio manoscritto è ben impressa nel nostro immaginario collettivo.
Credo – e temo – sia il frutto dell’opera di censura e soppressione che, nei secoli e per secoli, ha imperversato la produzione artistica di ogni cultura.

Al fianco di questi manoscritti bruciati, un’altra tipologia di scritti rischia l’estinzione (o peggio, l’oblio).
Sono i manoscritti sopiti, opere imperfette, incomplete, acerbe o troppo timide per uscire dallo spazio rassicurante dei cassetti. Scritture private, soffocate, ignorate, alle quali non viene data la possibilità di emersione e di confronto con lo sguardo d’Altri. Un danno che coinvolge entrambe le parti: gli autori, a cui viene negata la crescita personale tramite l’esercizio della pubblicazione; i lettori, con particolare riferimento a quel lettore curioso esploratore, se non perfino voyeurista.

Contravvenendo, fin da subito, ad un imperativo che consideriamo fondante del nostro percorso, ovvero quello del rispetto di un’opera nella sua interezza, e dunque anche delle sue oscurità e nelle sue imperfezioni, sentiamo il bisogno di sviscerare i sensi di questo lavoro che avete tra le mani. È un bisogno indotto, nato dalla consapevolezza che il processo nascosto, sotterraneo, con cui abbiamo dato seguito all’allestimento di questo piccolo spazio condiviso e condivisibile, si muove lungo direttrici non sempre di facile individuazione. I molti non detti, i silenzi, i sottintesi che ci hanno accompagnato in questa prima, lunga fase preparatoria, rendono spesso opachi strumenti e metodologie del percorso che abbiamo intrapreso.

Delle infinite nature di Vermi, abbiamo deciso di presentarvi, in ouverture, quella che ricalca la nostra volontà di creare uno spazio comune di condivisione, spontanea e labilmente filtrata, in cui raccogliere gli scritti di autori e autrici più o meno esperti. Tra le vostre mani racconti, diari, fogli incendiari, poesie assopite nei cassetti, annotate in calce a carte sparse e perdute. Prove di stampa, distratte, dimenticate trovano un luogo di incontro sulla pagina bianca. Quanto leggerete tra queste pagine è il frutto di un atto di fiducia degli autori e delle autrici nei nostri confronti. È una fiducia di cui abbiamo commozione e che rimettiamo a voi lettori, alla vostra sensibilità e capacità di individuare, tra le righe, il senso profondo e ultimo, la bellezza degli scritti che vi proponiamo.

Districhiamo dunque la matassa: a partire dal primo numero della Rivista, Prova distratta sarà un “inserto” di Vermi destinato a contenere tutte le proposte di narrativa e di poesia. Un luogo in cui convoglieremo i vostri esercizi di stile, i vostri versi incerti e acerbi, prestati al confronto leale con chi li leggerà. Impenitenti, rubiamo dal linguaggio della tipografia il titolo di questa introduzione assassina (e non è, per noi, il primo caso di riuso lessicale. Del resto, solo una manciata di suoni distingue la nostra Prova distratta dalla tipografica “prova di stampa”. Ma si tratta, ancora una volta, di un riuso infedele). Di quei fogli bianchi che proteggono i libri, senza farne davvero parte, questa introduzione riprende l’obiettivo: proteggere, dunque, senza interferire, senza alterare la particolarità di ciascun testo. E al contempo avvertire il lettore: ecco, è qui che inizia il tuo dovere. Un dovere sensibile, di ricerca ed esplorazione. Con la speranza che in queste pagine possiate trovare un nodo, un ricamo, una nota capace di far vibrare in voi corde distratte, dimenticate.

Buona lettura,
Jacopo Torre.

Jacopo Torre 
Jacopo Torre nasce a Lecce nel 1996. Da sempre lettore onnivoro, intraprende gli studi in Lettere Moderne, laureandosi con una tesi in Linguistica Italiana. Porta avanti un’intensa attività come operatore culturale, collaborando con numerose realtà locali. Nel 2021 pubblica la sua prima raccolta poetica, “Tagli di Carta”, per le Edizioni Ergot. Nello stesso anno è tra i fondatori del collettivo Vermi.